La processione sfila
fra l'incenso dei canti e l'armonia
delle preghiere.
Ognuno porta un peso e una speranza;
ognuno piange ed ha una luce in cuore.
Tutta un'umanità che si abbandona
in Quella che consola,
in Quello che perdona.
Ma d'improvviso
livido s'ode un urlo di sirena.
La folla s'apre al brivido che passa:
è una vita che geme
nello spasimo acuto
di una stretta glaciale.
Ognuno cede, pensieroso e muto,
al diritto tremendo del dolore.
Poi, mentre ancora sfuma
in lontananza il sibilo angoscioso,
si riprende a sfilar lungo la via.
Là ride una fanciulla,
qui tremulo riluce
il pianto di una madre;
qualche insulsa ironia,
qualche semplice, ardita invocazione.
Di fronte all'umiltà di una chiesuola,
un salone di gala
scintillante d'effimero e d'amaro.
Forse laggiù, nel pallido ospedale
quella vita agonizza...
Sento profonda una puntura in cuore:
siamo un'ondata d'impotenza oscura,
e folleggiamo,
mentre la morte stende la sua mano...
Mi giunge il canto della folla pia:
«Ave, Speranza nostra! Ave, Maria!».